Alle fondamenta della mostra "RICCARDO GUARNERI - Le Carte" risiede una certezza assoluta e condivisibile benché, al momento, abbia ancora necessità di essere chiarita: Riccardo Guarneri non è un artista analitico; e, in quanto manchevole di questa indispensabile premessa intellettuale, lui e le sue opere non possono appartenere totalmente alla medesima corrente. Semmai è vero il contrario. Questo è un fatto da non dimenticare e, soprattutto, da non sottovalutare: poiché già all'alba della corrente detta Pittura analitica (tra il 1971 e il 1973) i suoi esponenti dibattono sull'annoverarlo tra i loro o meno, sebbene Guarneri abbia già alle spalle un decennio di ricerca individuale ben riconosciuta e dalle ineluttabili similitudini visive. Dal 1962 infatti, egli lavora senza sosta, coscientemente, cogliendo il senso del significato della pittura e incrociando sul suo percorso quei risultati che poi saranno propri dei compagni futuri, ognuno certo con il proprio identificativo linguaggio. A Riccardo, sin dai primi istanti, sono però riconosciute le sue intuizioni come uniche, singolari, primigenie - persino nel senso pittorico del termine - vere matrici della sua ricerca poetica. E anche questo è un fatto. Gianfranco Zappettini in realtà, primo alfiere del gruppo degli analitici, si interroga assieme al fondatore intellettuale del movimento Filiberto Menna su questo argomento: eppure nell'immediato successivo, senza badare molto a luoghi comuni ed etichette ma puntando deciso sui rapporti umani e intellettuali che Riccardo coltiva da tempo, partecipa attivamente alla vita artistica nazionale intessendo nuovi legami con l'amico di una vita Paolo Masi ma anche con gli stessi Zappettini, Olivieri, Verna, Raciti, Vago; e con gli esponenti degli altri movimenti che si dividono la scena tra gli anni sessanta e settanta del XX secolo: i compagni genovesi di TEMPO3 sotto la guida di Eugenio Battisti (Bargoni, Carreri, Esposto, Stirone); Lucio Fontana e gli Spazialisti; i ragazzi di Azimut e gli amici milanesi (La Pietra, Ferrari, Verga, Sordini, Vermi; ma anche Restany e i suoi "nuovi realisti"); il Gruppo1 di Roma (tra i tanti, Carrino, Biggi, Frascà, Pace e Uncini); Umberto Apollonio (Direttore dell’Archivio della Biennale di Venezia), la cara amica Lara Vinca Masini di Numero e molti, moltissimi altri del panorama internazionale. Riccardo naviga a vista tra Arte Concreta e Arte Programmata, Arte Povera e Poesia Visiva, procedendo protetto dalla sua ricerca che ascolta e riflette le proprie sensazioni pittoriche. Molto più che una semplice stagione artistica, egli vive un'epoca di grandi rivoluzioni ideali e di stile, di condivisione sincera e di battaglie intellettuali nelle quali le manifestazioni tangibili della ricerca e una fortificante affiliazione corporativa si sostengono l'un l'altra. I dubbi di appartenenza, allora poi sopiti ma oggi ancora del tutto attuali e degni di nota, sono ben chiari, se non altro per quella enorme diversità emotiva e pragmatica al contempo che appare sin da subito eccezione a conferma della regola: le soluzioni ottenute da Guarneri poco hanno a che fare con quella scomposizione fredda della pittura, regolata da formule e algoritmi aritmetici e da un'analisi al limite dello scientifico degli elementi capitali della stessa che poi è tipica di molte delle frange artistiche imperanti soprattutto in Italia. Piuttosto egli, nell'indagine sempre più intima e solitaria del colore per giungere a un fonema tonale minimo da cui ripartire, ne considera gli elementi basilari quali il ritmo musicale delle forme, la giustapposizione coloristica bilanciata, un evidente lirismo pittorico che gli deriva dall’osservazione delle atmosfere nordiche prima, umanistiche fiorentine dopo - e che Guarneri tende a sublimare secondo una personalissima inclinazione caratteriale per la quale, proprio le forme e le geometrie, non sono altro che il risultato di scarti, di tempi sincopati, di bagliori di luce registrati da note improvvise a cui segue un "lento tempo di consumo", misurato e poi assimilato. Alla fine di tutto - ovviamente - è la pittura. Totalmente intimistica, la sua visione stride immediata con i principi fondanti della corrente analitica, li accetta ma non può mai esserne accettata fino in fondo: per questo, inammissibile è considerarlo tale. RICCARDO GUARNERI - Le Carte è, dunque, una mostra sulla sospensione pittorica raggiunta dall'artista fiorentino e sulla sua assoluta unicità di percorso. Tutte le opere, rigorosamente su carta e realizzate ad hoc per l'esposizione, hanno in loro la complessità di una ricerca che parte da lontano, da quella sua prima prova in tal senso (la sua tela N.1 - Una grafia che diventa oggetto, 1962) per giungere a noi attraverso ripensamenti e mutamenti, analisi e spinte concettuali non meno degne dei risultati ottenuti contestualmente su supporti per molti ben più nobili. Una sciocchezza: per lo stesso Guarneri infatti, questa raccolta rappresenta una dichiarazione di intenti e un vanto poiché a memoria non si ricordano esposizioni che abbiano preso in esame solo le carte per raccontarne il percorso; e, nello specifico, chiarisce ancora una volta le difficoltà e l’autorevolezza che sottendono la scelta precipua di un materiale, selezionato volontariamente dall'artista per le sue qualità intrinseche: il peso (600 mg), la grana, la porosità, quella sua superficie salda ed eterogenea che è sfida e piacere al contempo - per lui, da quando ha memoria. Fanno da appendice alla mostra alcuni brani selezionati dal fondamentale studio di Giovanna Uzzani "Riccardo Guarneri - CONTRAPPUNToLUCE" (edito in occasione della mostra medesima, tenutasi dal 23 ottobre al 20 dicembre 2004 a Firenze, presso la Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti, Salone del Fiorino, Sala della Musica): registrati magistralmente dalla studiosa in un continuo e salutare dibattito tra interventi storici ragionati e racconti biografici, gli estratti semplificano la pittura di Riccardo Guarneri attraverso i suoi occhi e le sue parole, i suoi pensieri e i suoi ricordi, con un'aderenza e una sincerità difficilmente raggiungibili da un qualsiasi altro intervento critico.
Francesco Mutti
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Contributi
Ho lasciato emergere la luce del bianco. Ho voluto che diventasse leggerissimo, trasparente, poco decifrabile. Affascinato dalle chine dei maestri Zen, ho lavorato sui bianchi e, con matite o l'acquerello, che trasfiguravano nella leggerezza e nella sfumatura il loro stesso colore, ho conferito la luminosità che volevo, divenuta poi caratteristica delle mie opere. La luce viene dalla trasparenza, da dentro al quadro, e si proietta nell'esteriorità. Pensavo sempre alla musica...Del resto in lei c'è tutto, c'è la mutazione continua del fare che rinnova sempre ogni cosa. C'è una mutazione con metodo, concetto che ha permeato il mio lavoro. Penso che ci sia la necessità di dare valore non alla ridondanza e alla spettacolarità, alla superficiale sciocchezza, ma a quello che ha un valore profondo, sensibile, che tocca l'interiorità. L'opera d'arte deve impegnarsi a comunicare ogni valore possibile, come la letteratura, la musica.
Riccardo Guarneri