Conoscere il mondo immaginando la somiglianza.
Luigi Ontani in VivaVitArteAltrove.
Una premessa genuina, qualificandola con un aggettivo che non mancherà di suscitare l’elegante sorriso di Luigi
Ontani, è necessaria. Anticamente in uso per indicare la pratica con cui il padre identificava come proprio il figlio
nell’atto di prenderlo sulle proprie ginocchia – genu –, dunque colui che era stato riconosciuto, genuinus è
derivazione linguistica evoluta nel bel significato di ‘innato’ – peraltro anagramma di “Ontani” – nonché deriva
iconografica, potremmo dire, se guardiamo alla rappresentazione cristiana del Bambino sul grembo della Vergine.
Questo riferimento un po’ dotto e apparentemente fuori luogo è un’allusione, per così dire, metaforica, che mi
consente di esplicitare la predisposizione nativa, usando l’altra accezione della parola latina, per l’opera di Luigi
Ontani dalla quale inevitabilmente potrò distanziarmi e che, senza esagerazioni è, esattamente a distanza da dieci
anni dall’incontro con LO, non lontana da una gratitudine che definirei davvero filiale. Rischiando l’eccesso
patetico, mi conduce – e qui torniamo all’accezione genuina – ad un atto di riconoscimento per colui che con la
sua opera ha formato strutturalmente il mio pensiero intorno a cosa è arte. La ragione che mi muove verso questa
premessa è la stessa che può dare avvio, propriamente, alla speculazione teorica che il testo merita. Luigi Ontani
è senza esagerazioni un paradigma dell’esperienza estetica conoscitiva, cioè di quelle dinamiche strutturali che
consentono all’individuo nel suo mondo, la realtà abitata, l’incontro con l’opera d’arte. L’impressione che
l’universo ontaniano – all’interno del quale difficilmente e particolarmente slegabile è l’opera dal suo soggetto –
sia concretamente la dimostrazione di una certa, fondamentale, modalità con cui l’uomo conosce il mondo, quella
estetica, per l’appunto, è lampante. L’immaginativo brulicare compulsivo di forme e colori, tutte identificabili
negli ibridoli-opere, neologismo da lui coniato che rende a pieno il concetto dell’unione tra caratteri realistici e
immaginari nello stesso oggetto, ma che potrebbe definire uno dei principi di fondo di tutta la sua poetica, è
condizione sine qua non della realtà che Ontani ha dipinto per sé e che gli calza a pennello come uno dei suoi
preziosi abiti. Essa esemplifica il meccanismo conoscitivo comune a ciascun individuo nell’evento tra soggetto e
opera d’arte, tra soggetto e oggetto. Nell’universo di LO i concetti migrano continuamente attraverso molteplici
forme senza mai trovare una corrispondenza unica: identità e soggettivazione, viaggio fantastico e storicorealistico,
Eros e mito formano un organismo diversificato nei linguaggi, ma che non pone mai profondamente
differenze di sostanza. Dai tableaux vivants alle sculture (cartapesta, legno, ceramica, vetro) agli acquerelli, in
Ontani è possibile legittimare la modalità conoscitiva della realtà che ci circonda e che eleva il ruolo
dell’immaginazione alla pari dell’intelletto, rendendo l’esperienza estetica esemplare dell’esperienza in genere,
un’arena in cui si rispecchia più decisivamente la conoscenza della realtà tout court, l’incontro dell’individuo con
il mondo. È Immanuel Kant a descrivere la facoltà immaginativa come produttiva e spontanea1 nella sua
condizione di libertà, di libero gioco, la definisce, operosa e instancabile perché gremita di concetti mai associabili
ad un solo oggetto. Una condizione che può benissimo essere, di fatto, esemplificata dall’opera-mondo di Luigi
Ontani. Nell’opera di LO le idee estetiche, per Kant “materiale” costitutivo dell’oggetto in sé e al contempo facoltà
d’animo del genio artistico, creano «rappresentazioni dell’immaginazione che danno occasione di pensare molto,
senza che però un qualche pensiero determinato, cioè un concetto, possa esserle adeguato, e che di conseguenza
nessun linguaggio possa completamente raggiungere o rendere intelligibile»2. La legittimazione di una tale
interpretazione la si trova già nelle primissime opere di Ontani, gli oggetti pleonastici, calchi di oggetti in scagliola
dipinti a tempera realizzati tra il 1963 e il 1966, elementi ibridi ed estranei che incontrano lo spazio o il corpo,
extragiocattoli3 amorfi e indefiniti, oggetti “aperti” all’immaginazione della propria identità e della propria
funzione. La capacità di mostrare l’immaginazione all’opera nel processo conoscitivo della realtà di cui l’incontro
con l’oggetto artistico diventa esemplare, modello in scala della modalità con cui conosciamo, è una caratteristica
dell’opera ontaniana che si lega, o meglio, che è conseguenza di un altrettanto decisivo carattere, sintomatico
dell’intenzione di fondo di plasmare un mondo a propria immagine e somiglianza e che ci conduce stricto sensu
nella mostra. VivaVitArteAltrove racchiude un nucleo di acquerelli, sculture, tableaux vivants,
1 I. Kant (1790), Kritik der Urteilskraft, trad. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni, Einaudi, Torino 1999,
p. 76.
2 Op. cit., p. 149.
3 Luigi Ontani. Tra arte e vita, “Flash Art” no. 300, marzo 2012.
maschere e lenticolari intitolati con quel dire ludico che contraddistingue da sempre Luigi Ontani, artista del mai
senza titolo, anzi particolarmente legato alle potenzialità metaforiche veicolate dall’atto di nominare l’opera
d’arte, qualificandola da subito concettualmente. Il rapporto tra immagine e parola è l’altra bussola che, insieme
all’immaginazione, orienta LO, il quale non a caso esordì nel 1970 alla sua prima mostra nello spazio Ambiente
presso i Gesuti di San Fedele (MI) con un’operazione intitolata La stanza delle similitudini, complice l’influenza
di un testo di Michel Foucault, Les Mots et le Choses, che negli anni Sessanta mise un punto alla destrutturazione
del rapporto tra dominio linguistico e dominio visivo a partire dalle condizioni di esistenza del soggetto all’interno
di una realtà plasmata primariamente dal linguaggio perché condizionata dal bisogno incessante di nominare le
cose. Anche in questo Ontani esemplifica magistralmente il cambiamento del ruolo fattivo messo in atto dal
bisogno del soggetto di orientarsi nel mondo a partire dall’individuazione di corrispondenze tra i suoi enti, e
dunque della somiglianza tre le cose, della similitudine presa in esame da Foucault nelle diverse tipologie che
scrivono, stando al filosofo, la prosa del mondo4. In un orizzonte in cui non c’è somiglianza senza segnatura,
scrive, cioè senza quei segni che testimoniano nel mondo una ricerca mimetica compulsiva, il passo
dall’immaginazione alla somiglianza è davvero breve: le sembianze delle opere di LO si coniugano con la svolta
foucaultiana rappresentata dal binomio parola-immagine risolto nell’ambito di un secondo binomio, quello
immaginazione-somiglianza. Nel tableau vivant, il segno che indubbiamente più di tutti ha scritto l’importanza di
Luigi Ontani nella storia dell’arte degli anni Settanta, è l’immaginazione a legittimare il viaggio imitativo che
l’artista compie attraverso i luoghi e le epoche, palesando la necessità «che nelle cose rappresentate viva il
mormorio insistente della somiglianza e al contempo, nella loro rappresentazione, la ripiegatura sempre possibile
dell’immaginazione»5 : quelle di Ontani sono peregrinazioni immaginative di un mondo personale e fantastico,
ma all’insegna della mimesis, una veste nel raggiungimento di una dimensione tutt’altro che realistica, anzi
estranea rispetto a quest’ultima. Emerge come requisito della rappresentazione, ancora con più evidenza nelle
sculture e negli acquerelli, l’analisi disordinata della somiglianza delle cose, di similitudini scomposte e mescolate
tra loro, riordinate per mezzo dell’immaginazione, dove paradigmatico è l’eterno ritorno dell’artista stesso, del
suo volto – l’uno, il più significativo, per il tutto, Foucault definirà l’individuo moderno come punto saturo di
analogie – evocato tramite singoli connotati fisiognomici, come la forma del naso, l’ovale del viso, soprattutto i
nei negli acquerelli e pressoché in tutte le sculture che Luigi Ontani ha ideato fin dagli anni Settanta a partire dalla
realizzazione del calco del volto (ma anche di mani, piedi e altre parti del corpo), elemento ancor più significativo
se collocato nell’ottica della mimesis. Vale lo stesso per le Babbucce orientali e GhettAbbottonato (1995); nel
primo caso l’ovale di LO appare perfino collocato in miniatura sulla scarpa, quasi fosse un blasone o una maschera
apotropaica. Viene insomma alla luce in tutta l’opera una rappresentazione conforme al principio
dell’immaginazione della somiglianza. La ricerca incessante della mimesi per mezzo della facoltà immaginativa
non lascia spazio all’astrazione, collocando l’infinita catena rappresentativa plasmata da Ontani entro i confini di
un immaginario vasto e variegato, ordinabile unicamente per mezzo del criterio imitativo e di corrispondenze
desuete tra elementi tuttavia realistici. Le conseguenze di una tale portata interpretativa, la combinazione delle
due facoltà, immaginazione da un lato, somiglianza dall’altro, mimesis da un lato, phantasia dall’altro, fanno
dell’opera di LO uno strumento che può essere decisivo nella comprensione dell’esperienza estetica e di quella
dell’individuo conoscitore del mondo. Presentificare sensazioni, intuizioni sensibili, mediante rappresentazioni
mimetiche, imitative, è la modalità con cui l’uomo si fa strada ogni giorno all’interno di esso.
In questo scenario, bisogna riconoscere a Luigi Ontani una particolarità esclusiva, tuttavia, che nemmeno la lettura
foucaultiana può giustificare. Se, infatti, il problema dell’immaginazione combinato a quello della somiglianza
imponeva, all’interno della rappresentazione moderna, lo sbarramento dell’identità, nel microcosmo ontaniano è
evidente un’inversione di orientamento in questo senso, anzi un’apertura alla manifestazione del soggetto, un
corrispondersi di rappresentazione e identificazione. Se, secondo Foucault, dal XVII secolo in poi, il soggetto
tende ad elidersi dallo spazio rappresentativo,6 a nascondersi, pur sempre mediante l’espediente figurativo, per
mezzo di quella che si direbbe essere quasi una mortificazione dell’identità del soggetto, in Ontani si assiste
contrariamente ad una glorificazione narcisistica
4 M. Foucault (1966), Les Mots et les Choses, trad. it. Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1978; cfr. p. 31 sgg. Pensando al noto
incipit del capitolo foucaultiano sulla rappresentazione, viene subito in mente il tableau vivant performativo di Ontani intitolato
Don Quijote de La Mancha presso la galleria romana l’Attico nel novembre 1974.
5 Op. cit., pp. 83-7.
6 Foucault si riferisce allo spazio della rappresentazione nel quadro. Sul rapporto del filosofo con la pittura la bibliografia è
vasta, riguardante principalmente la teoria intorno alle seguenti opere (ordine sparso): Id. (2004), La peinture de Manet, trad.
it. (parziale) La pittura di Manet, Abscondita, Milano 2005; Id. (1975), La peinture photogénique, in Dits et écrits, 1, 1954-
1975, Gallimard, Paris; Id. (2001), Les mots et les images, in Dits et écrits 1,1954-1975, Gallimard, Paris; Id. (1968), Ceci
n’est pas une pipe, trad. it. Questo non è una pipa, Milano, SE, 1988.
dell’Io, la più totale perché la più multiforme. Nuovamente, il tableau vivant ne è evidente dimostrazione. Ancor
più interessante è il caso del ciclo di acquerelli visibili in mostra. Il protagonista è sempre un fanciullo diverso,
ma con un connotato ontaniano (il neo c’è in tutti, ad esempio) nell’atto di fondersi con un elemento vegetale o
con uno sfondo rarefatto nelle tinte, in una dimensione a metà strada tra la favola la e il sogno. LO è, insomma,
tutt’altro che eliso dal quadro; in uno di essi, MostroMestoMisto (1998) sembra perfino nascere dallo stesso corpo
di una delle figure. Ma non c’è solo una glorificazione dell’identità dell’artista, c’è qualcosa in più: la messa in
forma del processo di costruzione dell’Io, della sua nascita, della sua soggettivazione, che pone nell’accezione
lacaniana una differenza tra ‘Io’ e ‘soggetto’, dove è il primo a giustificare la dimensione strutturale di
stratificazione del secondo, “la pluralità di Io”, più semplicemente, individuabile nell’alterità del molteplice,
nell’Altro. La tecnica del lenticolare introdotta nella varietà espressiva di Ontani negli anni duemila – Ombrofago
(2008), ElectricThrone (2006-2008) – è paradigmatica in questo senso, poiché mostra quasi tautologicamente la
sovrapposizione data dalla presenza di più immagini in movimento.
Il processo di formazione del soggetto insieme a quello costitutivo dell’esperienza estetica fanno sì che ad affiorare
al cuore dell’opera di Luigi Ontani sia il valore profondamente conoscitivo di cui l’opera d’arte può farsi carico,
uno strumento nella dimostrazione dell’attitudine dell’uomo a scoprire il mondo mediante determinate facoltà che
non trova paragoni nelle altre tipologie di esperienza. L’opera di LO è exemplum di queste modalità, in grado di
persuaderci ancora oggi, malgrado uno scenario artistico contemporaneo che lascia a desiderare, che l’arte come
la storia è magistra vitae.
Giulia Giambrone