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Nadia Costantini

Biography

Nadia Costantini è nata a Mirano (Venezia) nel 1944, si è formata all’Istituto Statale d’Arte e poi all’Accademia di Belle Arti veneziana, dove ha seguito i corsi di Bruno Saetti e di Carmelo Zotti. Negli anni Sessanta la sua pittura risentiva della formazione astratto-informale e le sue proposte, che nascevano da una tensione emotiva, si traducevano sulla tela con cromatismi intensi, segni vigorosi e materia corposa. Il risultato erano composizioni variamente tese a sconfinare oltre la costrizione dello spazio-quadro, con oscillazioni stilistiche che a posteriori vanno valutate come momenti di analisi introspettiva, quale percorso necessario a individuare una propria cifra da cui procedere con determinazione. Gran parte di queste opere sono andate perdute o distrutte dall’artista stessa; purtroppo, diciamo oggi, considerando che quelle “sopravvissute” si presentano qualitativamente interessanti. Nel decennio successivo il distacco dall’astratto-informale è avvenuto gradualmente, a intervalli, cominciando a razionalizzare le composizioni con l’inserimento di immagini fotografiche, creando collage di volti e figure evocativi di eventi reali. Nel 1978 è stata fra i fondatori del gruppo Verifica 8+1, il quale per trent’anni consecutivi ha tenuto attiva a Venezia-Mestre una galleria — con l’intento di funzionare da centro di documentazione e informazione, privilegiando altresì finalità didattiche — che è diventata punto di riferimento di artisti italiani e stranieri impegnati nella ricerca di nuovi linguaggi. Nel frattempo era maturata la svolta verso una totale razionalità: infatti, abbandonata definitivamente la pennellata gestuale, l’immagine adesso prendeva corpo fondandosi su elementi geometrici, precedentemente studiati e progettati per esprimere dinamismi ottici. Iniziava allora la serie delle Modulazioni di superficie, nelle quali su campiture compatte e buie il colore, sobriamente organizzato con rigore segnico, diventava luce vibratile grazie a modulazioni sia tonali sia per contrasto. Tale produzione, perdurata fino al 1990, fu seguita da una prima incursione nel tridimensionale con opere realizzate con fogli di polietilene morbido, concepite in modo che da una parte lasciata intera dipartissero delle strisce tagliate ad hoc per formare volumi differenti. Queste strisce dovevano cadere mordidamente nello spazio, facendolo diventare elemento partecipe della tridimensionalità. Flessuose e in apparenza leggere sono state realizzate in piccole e grandi dimensioni. Trascorsa una lunga pausa di riflessione, l’artista tornava alla pittura nel 1998 con le ritmiche "Scansioni di superficie" — tuttora in fase di continuo studio e sviluppo — caratterizzate da una tavolozza con dirompenti effetti di luci, in cui i colori accostati per esaltarsi vicendevolmente — in un rapporto di luce-ombra, spesso orchestrato dal dominio del nero — diventano elemento costruttivo di composizioni che producono illusionistici giochi ottici; nel senso che possono dare l’impressione di elementi aggettanti oppure, al contrario, rientranti, a seconda dell’intensità della concentrazione con cui si guardano. In parallelo riprendeva la creazione — ora portata avanti con sistematicità — di lavori tridimensionali utilizzando materie plastiche con il metodo di lavoro già sperimentato del foglio unico tagliato parzialmente a strisce. Con invenzioni più complesse otteneva inediti esiti di suggestione estetica combinando nella stessa opera la doppia valenza di bidimensionalità e tridimensionalità. Tali opere, difatti, quando sono “chiuse” — si potrebbe quasi dire “in stato di riposo” — si presentano piatte e solcate da tagli; sono quei tagli che permetteranno loro una volta “aperte” di protendersi nello spazio, o di librarsi in esso lievi e voluminose. “Tagliare, unire, raggruppare, tensionare, costringere fasce che nascono da semplici forme geometriche per poi liberarsi in fluttuanti direzioni spaziali, questo è il senso della mia ricerca tesa a strutturare empaticamente lo spazio”: ecco la poetica di questa artista, spiegata da lei stessa. L’adozione più recente dell’acciaio, lucido o in versione satinata, accresce lo stupore della combinazione tra volume e lievità, poiché queste opere sembrano ancor più scolpite nell’aria. Variamente denominate Torsioni, Flussi di superficie o Fluttuante, è evidente la loro naturale derivazione dall’opera pittorica, e ben lo spiega l’autrice: “come le fasce pittoriche muovendosi dinamicamente in apparente tridimensionalità nel campo del quadro danno origini a forme complesse, così pure il materiale plastico e l’acciaio tagliato, anch’esso in fasce, che uso come linguaggio artistico tridimensionale, si sviluppa in configurazioni più complesse ed elaborate rispetto a quelle originarie”. Configurazioni che per essere colte appieno richiedono all’osservatore di guardare l’opera da più punti di vista, per rilevare quanto essa cambi di forma, dando l’impressione di essere più sculture in una. Dal 1968 Nadia Costantini si è dedicata all’insegnamento presso gli istituti d’arte di Venezia e di Padova, dove ha tenuto corsi di decorazione pittorica (lacche e doratura), di pittura decorativa (affresco e altre tecniche murali), di disegno dal vero e infine di educazione visiva, appassionandosi a quest’ultima materia e sperimentando con i propri allievi lavori incentrati sulle illusioni ottiche, sulle ambiguità della forma, sull’apparente tridimensionalità, fino alle forme cinetiche. Per chiudere il ritratto di questa artista, che vive e ha lo studio nell’entroterra veneziano, va rilevato il suo temperamento schivo, il suo lavorare appartata, la qual cosa — va pur detto — non ha giovato a una meritata notorietà delle sue opere “programmate”, realizzate con sapiente e straordinaria finezza formale. Tra le mostre con le sue opere da ricordare quelle a Venezia alla Galleria Bevilacqua La Masa nel 1969 e nel 1981; quelle cui ha partecipato insieme agli artisti di Verifica 8+1 a Venezia-Mestre, Torino, Brescia, Bergamo, Firenze, Roma, Bologna; e le più recenti presso PaRDeS laboratorio di ricerca d’arte contemporanea a Mirano-Venezia e nel 2010 al Museo civico di Santa Caterina a Treviso. 

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Nadia Costantini - Arte Programmata

L’Arte Programmata o Cinetica è un movimento artistico internazionale che ha lasciato un segno indelebile nell’arte del Novecento. Umberto Eco utilizza il termine “Arte Programmata” per presentare la storica mostra alla Olivetti di Milano nel 1962, organizzata da Bruno Munari. Il grande critico Giulio Carlo Argan la definisce invece “arte gestaltica”, mentre Lea Vergine ne sancirà definitivamente l’importanza in Italia descrivendola come l’Ultima Avanguardia, nella omonima retrospettiva a Palazzo Reale di Milano nel 1984. L’Arte Programmata o Cinetica ma anche l’Arte Optical hanno una genesi comune: nascono dallo studio innovativo, da parte degli artisti, dei meccanismi della visione, dei fenomeni ottici e luminosi, in linea con i progressi scientifici dal Dopoguerra in poi. In tutto il mondo sia l’informale che l’astrattismo in pittura non soddisfano più la ricerca dei giovani artisti. Guardando a Marcel Duchamp, al Futurismo - o a esperienze più recenti come le ricerche di Bruno Munari, che già negli anni ’30 realizza le Macchine inutili, e pubblica il Manifesto del macchinismo nel 1952 - si vuole riuscire a creare opere che coinvolgano davvero lo spettatore, dal punto di vista visivo ma anche psicologico, e superare definitivamente il concetto di arte come rappresentazione ed espressione: finalmente l’arte diventa esperienza, e poi sarà addirittura ambiente. Di non secondaria importanza, è anche la spinta dei nuovi artisti a lavorare in gruppo, nascono così aggregazioni di artisti che cercano di superare l’individualismo della figura dell’artista: in Italia il primo sarà il MAC – Movimento Arte Concreta (formatosi intorno a Munari stesso) e in seguito il Gruppo T a Milano e Gruppo N a Padova. Importante per gli artisti italiani sarà l’esperienza di Azimuth, galleria e rivista animate da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Sebbene non rientrino espressamente nel movimento, le opere innovative, monocrome, anti-figurative dei due artisti – insieme a quelle di personalità loro vicine come Agostino Bonalumi e Dadamaino, saranno importantissime per aprire la strada alle sperimentazioni dell’Arte Programmata. Il movimento d’Arte Cinetica o Programmata si afferma grazie a fermenti contemporanei in tutto il mondo: Gruppo T a Milano, Gruppo N a Padova, GRAV a Parigi, Gruppo Zero a Düsseldorf. In America la tendenza prende il nome di Optical Art o Op-Art (contrapposta alla Pop-art, che domina la scena negli anni Sessanta). A Zagabria il movimento trova un sostenitore nel critico Marko Mestrovic, che organizza le manifestazioni internazionali “Nove Tendencije” (Nuova Tendenza), alle quali partecipano tutti i giovani artisti italiani. Non solo Enzo Mari, Manzoni, Bonalumi e Castellani, ma anche Getulio Alviani sarà fra gli italiani più attivi in “Nuova Tendenza”, che diventerà anche un movimento internazionale. Le opere di Alviani, utilizzando pioneristicamente la lamiera di alluminio trattata, ricercano continue tensioni visive fra riflessione, ambiguità visiva, movimento apparente, luce e vibrazione, utilizzando come “motore” l’interazione visiva del metallo con lo sguardo dello spettatore. Anche Marina Apollonio aderisce al movimento nel 1965, incoraggiata dall’incontro con Alviani, e come quest’ultimo utilizza materiali industriali moderni, per creare opere strutturate che si trasformano in superfici dinamiche (Rilievi metallici a sequenze cromatiche alternate) o che ricercano il movimento apparente con effetti geometrici optical (Dinamiche Circolari). A Milano l’Arte Programmata è ben rappresentata dal Gruppo T, fondato da Davide Boriani e Gabriele De Vecchi a cui si aggiungono Gianni Colombo, Giovanni Anceschi e infine Grazia Varisco. La prima mostra del gruppo — Miriorama 1 — è nel 1960 alla Galleria Pater (Galleria dove in quel periodo esporranno anche Paolo Scheggi e Vanna Nicolotti, con le loro tele tridimensionali di più piani sovrapposti). Il Gruppo T presenta opere in movimento, costituite da meccanismi che le animano, senza più alcun intento rappresentativo. Colombo usa motori per far muovere le sue superfici; in quelle di Anceschi è il liquido colorato che scorre in tubi che può essere mosso dalle mani dello spettatore; mentre le Superfici magnetiche di Boriani sfruttano dei magneti e della polvere di ferro per mettere in movimento l’opera. Grazia Varisco realizza opere mosse da motori meccanici e a luminescenza interna (Schemi luminosi variabili) e strutture in materiali industriali mobili animate da vetro sfaccettato che ne scompone le forme. Dall’idea di opera in movimento attraverso effetti visivi si passa dunque a opere che si muovono effettivamente da sole, o a volte - in aperta rottura col passato - si chiede allo spettatore di azionarle direttamente con le proprie mani. Frequenti scambi e compresenza in mostre vi sono col Gruppo N di Padova, formatosi poco dopo il Gruppo T, per opera di giovani provenienti da studi di architettura e disegno industriale: Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi. Anch’essi recepiscono il nuovo concetto di arte e sono particolarmente attivi nel divulgarlo (ad esempio portando a Padova la mostra " La nuova concezione artistica", della Galleria Azimuth, nel 1960), e accentuano l’importanza dell’impostazione concettuale: la mostra "Nessuno è invitato a intervenire" ne è un esempio lampante. Dal Gruppo N emerge la personalità di Alberto Biasi, animatore del gruppo, che affronta nelle sue opere le tematiche del cinetismo e della percezione visiva, tra le prime opere le “Trame”, in cui studia l’interferenza del movimento dello sguardo su superfici stratificate, e i “Rilievi ottico-dinamici”, strutture lamellari dai cromatismi contrastanti che si “attivano” grazie all’interazione con lo spettatore, che muovendosi si fa fruitore attivo di un’opera in conseguente movimento ottico. Edoardo Landi invece ricerca il coinvolgimento dello spettatore con la stimolazione ottica data da forme geometriche ed elementari, ottimi esempi di composizioni Optical per una ricerca che proseguirà anche negli anni ’70. Il quadro italiano è completato da figure che operano anche in altre città, come Franco Costalonga che conduce una approfondita ricerca sugli effetti ottici nell’opera, come negli Oggetti cromocinetici in cui sperimenterà innumerevoli combinazioni con l’utilizzo di specchi sferici. Costalonga partecipa negli anni ‘60 alla fondazione dei gruppi Dialettica delle Tendenze e Verifica 8+1 con altri artisti veneti in linea con la tendenza internazionale dell’Arte Programmata. Il successo per l’Arte Programmata è testimoniato dall’omonima mostra del 1962 presso il negozio Olivetti di Milano, poi ripetuta nella sede dell’azienda a New York e alla IV Biennale di San Marino (intitolata Oltre l’informale) nel 1963, e sarà sancito definitivamente con l’incredibile successo della mostra The Responsive Eye, organizzata nel 1965 dal MoMa di New York (180.000 visitatori), in cui vennero esposti quasi tutti gli esponenti italiani, da Enrico CasteIlani a Getulio Alviani, dal Gruppo T al Gruppo N, insieme ai più grandi artisti internazionali da Josef Albers a Victor Vasarely.

Tags: Arte Programmata - Arte Cinetica - Optical Art - Agostino Bonalumi - Getulio Alviani - Manfredo Massironi - Alberto Biasi - Franco Costalonga - Vanna Nicolotti - Cinetismo - Oggetto cromocinetico - Victor Vasarely - The responsive Eye - Movimento Arte Concreta - Grav - Gruppo Zero - Bruno Munari 

 

 

Nadia Costantini

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Nadia Costantini - Flussi di superfici

Flussi di superfici

Anno : 2007

Dimensione : cm 30x30

Tecnica : polietilene e acrilico su tavola

Autenticazione : autentica su foto di Nadia Costantini

Nadia Costantini

Opere non disponibili

Nadia Costantini - Flussi di superfici

Flussi di superfici

Anno : 2012

Dimensione : cm 70x70

Tecnica : polietilene su pannello di legno

Autenticazione : autentica su foto di Nadia Costantini

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