Alberto Biasi nasce a Padova il 2 giugno 1937 da Giuseppe e Silvia Zappi Recordati. La sua è una famiglia che ha già donato all’arte una pittrice, Lavinia Fontana, nome assai noto della pittura seicentesca e un poeta, Tirsi Leucasio, iniziatore con Metastasio dell’Arcadia. Presto, negli anni della guerra, Biasi resta orfano di madre e viene accolto dalla nonna paterna a Carrara San Giorgio, un paesino della campagna padovana dove la nonna gestiva un’osteria. Cresce a contatto della gente di paese, in un’atmosfera di famiglia allargata, fino agli anni della scuola superiore, quando ritorna a Padova per frequentare il Liceo Classico, poi si sposta a Venezia per seguire l’istituto d’Architettura e il Corso Superiore di Disegno Industriale, dove vince una borsa di studio istituita da Paolo Venini. Sono anni di conoscenza e passioni artistiche, si avvicina e approfondisce momenti fondamentali dell’arte del Novecento: il movimento Neoplastico, il Futurismo, il Dadaismo entrano e si radicano nel percorso di formazione del giovane Biasi.
Nel 1958 intraprende l’insegnamento di disegno e storia dell’arte nella scuola pubblica e nel ’69 gli viene assegnata la cattedra di arti della grafica pubblicitaria (che manterrà ininterrottamente fino al 1988). Intanto l’attività di artista prende corpo: nel ’59 riceve dalle mani di Virgilio Guidi il primo premio alla IV Biennale Giovanile d’Arte di Cittadella. E’ il primo riconoscimento pubblico di un artista che stava, seppur giovanissimo, filtrando fermenti, ideali politici, inquietudini artistiche: nasce il Gruppo Enne, padovano, con cui lavorerà (ma Biasi è l’anima e il motore trainante dello storico gruppo artistico) fino al suo scioglimento definitivo nel ’67. I contatti di Biasi si estendono ben presto a livello nazionale e internazionale: espone nel ‘60 con Manzoni e Castellani e gli artisti europei della ‘Nuova concezione artistica". Lo spirito innovativo di quegli anni lo vede protagonista: nel ’61 aderisce al movimento “Nuove tendenze”, nel ’62, come Gruppo N, con Bruno Munari, Enzo Mari e il Gruppo T partecipa alla fondazione del movimento dell’Arte Programmata.
Biasi in questi primi anni articola la propria arte secondo nuovi canoni di ricerca: l’interazione dello spettatore con l’opera diventa un fondamento ineludibile, il movimento, nella sua accezione passiva di moto virtuale, effetto apparente di movimento, conduce l’artista ad affrontare le problematiche del cinetismo e le conseguenti ricerche sulla percezione visiva e la reazione individuale allo stimolo luminoso. Segnano l’attività di questo periodo le “Trame”, primo studio sull’interferenza del movimento dello sguardo e della luce naturale su una superficie statica e stratificata, d’ispirazione naturale, frutto dell’osservazione di elementi complessi e primitivi quali le arnie. Accanto alle Trame realizza ben presto i “Rilievi ottico-dinamici”: sovrapposizioni di strutture lamellari giocate sull’effetto di cromatismi contrastanti e attivati dal movimento dello spettatore che diventa con ciò “attore”, corresponsabile dell’evento visivo. Cominciano ad apparire allora le “Forme dinamiche” ottenute attraverso la torsione di materiali approntati in lamine sottili e disposti secondo geometrie rigorosamente calcolate applicate su fondi cromatici diversi, le “Fotoriflessioni” in movimento reale e gli “Ambienti” a percezione instabile, atmosfere cangianti di luci e liquidi in movimento. Da citare sicuramente, appartenenti a quest'ultima sezione di creazioni il “Grande Tuffo nell’arcobaleno”, “Eco”, e il trittico “Io sono, tu sei, egli è, quindi siamo”.
Nel frattempo il Gruppo N si è dissolto e, abbandonata la tonalità corale, abbracciata per aderire a un forte impegno politico e ideologico (al tempo della attività del gruppo ‘N’, Biasi si definiva operatore artistico, significando con ciò un portato di implicazione sociale), l’attività artistica di Biasi prosegue in “a solo” sviluppando quei temi che resteranno una ‘felice ossessione’ fino ad oggi. Il suo impegno civile, tuttavia, resterà presente negli anni , con partecipazione e condivisione alla vita cittadina, fino a confluire nell'incarico di Presidente dell'Ente provinciale del Turismo di Padova tra la fine degli anni Settanta e i primi degli Ottanta quando darà sviluppo a progetti culturali e artistici riguardanti Padova, la sua storia culturale e il suo territorio paesaggistico.
Intanto la sua arte trova nuove fasi di studio e sperimentazione. Approfondendo la ricerca sull’impatto luminoso di luce naturale, Biasi elabora nuove soluzioni con i “Politipi”, dalla sicura fascinazione ipnotica realizzata mediante torsioni, sovrapposizioni di piani, intrecci di lamine e listelli, interagendo così, nel perseguimento del movimento armonico, con la profondità, terza dimensione più allusa che realmente interpellata. I Politipi degli anni Settanta, evolvono nel decennio successivo acquisendo intenzioni figurali: gli effetti percettivi diventano sempre più complessi, attratti da un’evidenza figurale che racchiude in sé altri sprofondamenti tridimensionali, inganni o reali della luce intercettata negli strati di materia sovrapposta. Il gioco tra spettatore-attore e opera diventa sempre più articolato e libero, la forma si arricchisce di immagini facilmente riconoscibili delle quali l’occhio è confidentemente certo; in esse, circoscritti da esse, si aprono però nuovi ‘tranelli’ ottici manipolati dalla luce che varia con lo spostamento del punto di visuale: si conferma e attesta l’assoluta variabile della percezione nello spettatore, che interrogato e provocato nella grande antologica al Museo degli Eremitani di Padova nel 1988 risponde con una entusiastica affluenza (42000 visitatori).
Negli anni Novanta i Politipi si arricchiscono di un elemento fino ad ora parzialmente trascurato da Alberto Biasi, la pittura, sotto forma di inserimenti di colore, tracce, ombre, allusioni che sostengono in contrappunto la struttura articolata delle superfici stratificate; nascono così gli “Assemblaggi” spesso sviluppati in dittici e trittici che sviluppano, negli anni più recenti, fino all’oggi, una severità coloristica sempre più rigorosa e coerente, tendente alla monocromia. L'estremo rigore del monocromo esalta, nell'accostamento e sovrapposizioni di superfici, assemblate tra loro, il punto di 'rottura', di crisi nella lettura lineare, là dove i piani di colore convergono in una sorgente tridimensionale, alludente ad uno spazio generatore di energia. Ed è da questo spazio che l'indagine di Biasi muove nella nuova, eppure sottesa in tutta la sua produzione, attenzione verso la scultura. Acciaio corten, alluminio, metacrilato sono i media della sfida di Biasi allo spazio tridimensionale, affrontato nelle misure ampie di opere anche da esterno: totem, lastre a sviluppo verticale, così come spirali interrotte, eliche di fitti tuboli metallici diventano trasposizioni, reinvenzioni, esiti della 'felice ossessione', della costante ricerca di Biasi nel campo della percezione visiva.
Dopo la partecipazione nelle dodici esposizioni del Gruppo N, Biasi ha esposto più di cento esposizioni personali e partecipato ad innumerevoli collettive, fra cui la XXXII e la XLII Biennale di Venezia, la X, XI e XIV Quadriennale di Roma, la XI Biennale di San Paulo e le più note Biennali internazionali della grafica, ottenendo numerosi e importanti riconoscimenti, in particolare quello ottenuto con il multiplo “Io sono” al World Print Competition ’73 del California College of Arts and Crafts in collaborazione con il San Francisco Museum of Art. Grandi successi hanno riscosso nel 2006 l’esposizione di trenta sue opere storiche nelle sale dell’Hermitage di San Pietroburgo e nel 2009 la sua antologica “Kaleidoscope: dalle trame agli assemblaggi” al Museo del Palazzo Reale di Genova. Sue opere si trovano al Modern Art Museum di New York, alla Galleria Nazionale di Roma, all’ Hermitage di San Pietroburgo, nei Musei di Belgrado, Bolzano, Bratislava, Buenos Aires, Ciudad Bolivar, Epinal, Gallarate, Guayaquil, Livorno, Lodz, Ljubljana, Middletown, Padova, Praga, San Francisco, Saint Louis, Tokio, Torino, Ulm, Venezia, Waldenbuch, Wroclaw, Zagabria, al Ministero degli Affari Esteri di Roma ed in numerose collezioni italiane e straniere.
Tags: Alberto Biasi - Biasi - Gruppo N - Nuove tendenze - Arte Programmata - cinetismo - rilievi ottici dinamici - politipo - assemblaggio - Torsione
L’Arte Programmata o Cinetica è un movimento artistico internazionale che ha lasciato un segno indelebile nell’arte del Novecento. Umberto Eco utilizza il termine “Arte Programmata” per presentare la storica mostra alla Olivetti di Milano nel 1962, organizzata da Bruno Munari. Il grande critico Giulio Carlo Argan la definisce invece “arte gestaltica”, mentre Lea Vergine ne sancirà definitivamente l’importanza in Italia descrivendola come l’Ultima Avanguardia, nella omonima retrospettiva a Palazzo Reale di Milano nel 1984. L’Arte Programmata o Cinetica ma anche l’Arte Optical hanno una genesi comune: nascono dallo studio innovativo, da parte degli artisti, dei meccanismi della visione, dei fenomeni ottici e luminosi, in linea con i progressi scientifici dal Dopoguerra in poi. In tutto il mondo sia l’informale che l’astrattismo in pittura non soddisfano più la ricerca dei giovani artisti. Guardando a Marcel Duchamp, al Futurismo - o a esperienze più recenti come le ricerche di Bruno Munari, che già negli anni ’30 realizza le Macchine inutili, e pubblica il Manifesto del macchinismo nel 1952 - si vuole riuscire a creare opere che coinvolgano davvero lo spettatore, dal punto di vista visivo ma anche psicologico, e superare definitivamente il concetto di arte come rappresentazione ed espressione: finalmente l’arte diventa esperienza, e poi sarà addirittura ambiente. Di non secondaria importanza, è anche la spinta dei nuovi artisti a lavorare in gruppo, nascono così aggregazioni di artisti che cercano di superare l’individualismo della figura dell’artista: in Italia il primo sarà il MAC – Movimento Arte Concreta (formatosi intorno a Munari stesso) e in seguito il Gruppo T a Milano e Gruppo N a Padova. Importante per gli artisti italiani sarà l’esperienza di Azimuth, galleria e rivista animate da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Sebbene non rientrino espressamente nel movimento, le opere innovative, monocrome, anti-figurative dei due artisti – insieme a quelle di personalità loro vicine come Agostino Bonalumi e Dadamaino, saranno importantissime per aprire la strada alle sperimentazioni dell’Arte Programmata. Il movimento d’Arte Cinetica o Programmata si afferma grazie a fermenti contemporanei in tutto il mondo: Gruppo T a Milano, Gruppo N a Padova, GRAV a Parigi, Gruppo Zero a Düsseldorf. In America la tendenza prende il nome di Optical Art o Op-Art (contrapposta alla Pop-art, che domina la scena negli anni Sessanta). A Zagabria il movimento trova un sostenitore nel critico Marko Mestrovic, che organizza le manifestazioni internazionali “Nove Tendencije” (Nuova Tendenza), alle quali partecipano tutti i giovani artisti italiani. Non solo Enzo Mari, Manzoni, Bonalumi e Castellani, ma anche Getulio Alviani sarà fra gli italiani più attivi in “Nuova Tendenza”, che diventerà anche un movimento internazionale. Le opere di Alviani, utilizzando pioneristicamente la lamiera di alluminio trattata, ricercano continue tensioni visive fra riflessione, ambiguità visiva, movimento apparente, luce e vibrazione, utilizzando come “motore” l’interazione visiva del metallo con lo sguardo dello spettatore. Anche Marina Apollonio aderisce al movimento nel 1965, incoraggiata dall’incontro con Alviani, e come quest’ultimo utilizza materiali industriali moderni, per creare opere strutturate che si trasformano in superfici dinamiche (Rilievi metallici a sequenze cromatiche alternate) o che ricercano il movimento apparente con effetti geometrici optical (Dinamiche Circolari). A Milano l’Arte Programmata è ben rappresentata dal Gruppo T, fondato da Davide Boriani e Gabriele De Vecchi a cui si aggiungono Gianni Colombo, Giovanni Anceschi e infine Grazia Varisco. La prima mostra del gruppo — Miriorama 1 — è nel 1960 alla Galleria Pater (Galleria dove in quel periodo esporranno anche Paolo Scheggi e Vanna Nicolotti, con le loro tele tridimensionali di più piani sovrapposti). Il Gruppo T presenta opere in movimento, costituite da meccanismi che le animano, senza più alcun intento rappresentativo. Colombo usa motori per far muovere le sue superfici; in quelle di Anceschi è il liquido colorato che scorre in tubi che può essere mosso dalle mani dello spettatore; mentre le Superfici magnetiche di Boriani sfruttano dei magneti e della polvere di ferro per mettere in movimento l’opera. Grazia Varisco realizza opere mosse da motori meccanici e a luminescenza interna (Schemi luminosi variabili) e strutture in materiali industriali mobili animate da vetro sfaccettato che ne scompone le forme. Dall’idea di opera in movimento attraverso effetti visivi si passa dunque a opere che si muovono effettivamente da sole, o a volte - in aperta rottura col passato - si chiede allo spettatore di azionarle direttamente con le proprie mani. Frequenti scambi e compresenza in mostre vi sono col Gruppo N di Padova, formatosi poco dopo il Gruppo T, per opera di giovani provenienti da studi di architettura e disegno industriale: Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi. Anch’essi recepiscono il nuovo concetto di arte e sono particolarmente attivi nel divulgarlo (ad esempio portando a Padova la mostra " La nuova concezione artistica", della Galleria Azimuth, nel 1960), e accentuano l’importanza dell’impostazione concettuale: la mostra "Nessuno è invitato a intervenire" ne è un esempio lampante. Dal Gruppo N emerge la personalità di Alberto Biasi, animatore del gruppo, che affronta nelle sue opere le tematiche del cinetismo e della percezione visiva, tra le prime opere le “Trame”, in cui studia l’interferenza del movimento dello sguardo su superfici stratificate, e i “Rilievi ottico-dinamici”, strutture lamellari dai cromatismi contrastanti che si “attivano” grazie all’interazione con lo spettatore, che muovendosi si fa fruitore attivo di un’opera in conseguente movimento ottico. Edoardo Landi invece ricerca il coinvolgimento dello spettatore con la stimolazione ottica data da forme geometriche ed elementari, ottimi esempi di composizioni Optical per una ricerca che proseguirà anche negli anni ’70. Il quadro italiano è completato da figure che operano anche in altre città, come Franco Costalonga che conduce una approfondita ricerca sugli effetti ottici nell’opera, come negli Oggetti cromocinetici in cui sperimenterà innumerevoli combinazioni con l’utilizzo di specchi sferici. Costalonga partecipa negli anni ‘60 alla fondazione dei gruppi Dialettica delle Tendenze e Verifica 8+1 con altri artisti veneti in linea con la tendenza internazionale dell’Arte Programmata. Il successo per l’Arte Programmata è testimoniato dall’omonima mostra del 1962 presso il negozio Olivetti di Milano, poi ripetuta nella sede dell’azienda a New York e alla IV Biennale di San Marino (intitolata Oltre l’informale) nel 1963, e sarà sancito definitivamente con l’incredibile successo della mostra The Responsive Eye, organizzata nel 1965 dal MoMa di New York (180.000 visitatori), in cui vennero esposti quasi tutti gli esponenti italiani, da Enrico CasteIlani a Getulio Alviani, dal Gruppo T al Gruppo N, insieme ai più grandi artisti internazionali da Josef Albers a Victor Vasarely.
Tags: Arte Programmata - Arte Cinetica - Optical Art - Agostino Bonalumi - Getulio Alviani - Manfredo Massironi - Alberto Biasi - Franco Costalonga - Vanna Nicolotti - Cinetismo - Oggetto cromocinetico - Victor Vasarely - The responsive Eye - Movimento Arte Concreta - Grav - Gruppo Zero - Bruno Munari