Enrico Baj, nato a Milano il 31 ottobre 1924, ha partecipato in primo piano alle avanguardie degli anni Cinquanta, fondando il movimento nucleare che fu, tra le tendenze artistiche di quel periodo, grandemente innovativo sia dal punto di vista formale sia da quello ideologico, aperto a instaurare contatti con artisti ed intellettuali europei. Accanto infatti a Lucio Fontana, Piero Manzoni, Sergio Dangelo, Joe Colombo, Lucio Del Pezzo, Baj ebbe stretti rapporti e scambi con Max Ernst, Marcel Duchamp, Yves Klein, E.L.T. Mesens, Asger Jorn e altri artisti del gruppo Cobra, con il nouveau realisme, il surrealismo e la patafisica. Delle attività di quegli anni, oltre alle numerose mostre personali e di gruppo in Italia e in tutta Europa, vanno ricordati i manifesti, tra cui quello della Pittura nucleare (1952) e quello Contro lo stile (1957) in opposizione alla sistematica ripetitività del formalismo stilistico, nonché la fondazione con Jorn nel 1954 di quel Mouvement internetional pour une Bauhaus imaginiste, che per primo si schierò contro la forzata razionalizzazione e geometrizzazione dell'arte e contro il dominio della linea retta e dell'angolo retto. La sua opera si articola in vari periodi, sotto il segno unificante dell'ironia dissacratoria e del continuo rinnovarsi dell'espressività. Da un lato gli "specchi", i "mobili", i "meccani", le "dame", le "modificazioni", i "d'aprés" (omaggi e insieme rifacimenti parodistici di Picasso, Seurat e altri) costituiscono il filone ludico e giocoso, in cui prevale il piacere di fare pittura con ogni sorta di materiali, con una pulsione combinatoria a cui il collage fornisce molteplici varianti e possibilità. Dall'altro, a partire dalle figurazioni nucleari degli anni Cinquanta, che testimoniano le paure seguite a Hiroshima e proiettate nel futuro, si manifesta un forte impegno civile contro ogni tipo di aggressività, che attraverso i "generali" e le "parate militari" degli anni Sessanta approda negli anni Settanta a tre grandi opere, I funerali dell'anarchico Pinelli (1972), Nixon Parade (1974), suggerito dall'impeachment del presidente americano, e l'Apocalisse (1979). Quest'ultima composizione in progress (sarà infatti arricchita negli anni successivi da nuovi elementi), costituita da teli e sagome in legno che possono essere combinati con montaggi variabili a formare un'ampia scenografia, mette in scena quasi teatralmente il degrado della contemporaneità e i mostri generati dal sonno della ragione e da un supino asservimento al modernismo e alla tecnoscienza. Dell'aspetto teatrale dell'opera di Baj e di un certo legame con la commedia dell'arte hanno parlato vari critici, tra cui Edouard Jaguer, André Pieyre de Mandiargues, Jan Van der Mareck. E in effetti negli anni Ottanta, Bay si accosta più direttamente al teatro, collaborando a numerosi realizzazioni. Fra queste, Ubu re di Alfred Jarry, messo in scena da Massimo Schuster nel 1984 e rappresentato per oltre dieci anni in tutto il mondo: l'Ubu re di Baj consiste in una cinquantina di marionette in meccano usate da Schuster come elementi di un teatro di oggetti. Del resto, Rabelais, Lamtréament e Jarry sono gli autori del passato ai quali egli più frequentemente si riferisce; ma con speciale attenzione a Jarry, non solo per via di Ubu ma per la patafisica. Dall'Apocalisse in avanti, la critica della contemporaneità, dell'uso indiscriminato delle tecnologie, della robotizzazione dell'uomo nella società attuale, del prevalere della forma sulla sostanza, della riduzione dell'arte a moda, della spettacolarizzazione e del consumo di ogni cosa, è vieppiù presente nell'opera di Baj. Nascono così, a stigmatizzare l'abuso tecnologico e il mito della velocità, Epater le robot (1983), cui fa seguito il Manifesto del futurismo statico (1983-86) e i I manichini (1984-87), figure senza volto, spersonalizzate, nelle quali Baj abbandona temporaneamente il collage e dove sono evidenti i riferimenti al manierismo e alla metafisica. Poi, attraverso una serie di opere, Metamorfosi e Metafore (1988), nelle quali ancora la pittura prevale sul collage, sviluppa una figurazione dell'immaginario e del fantastico che porterà alla sua massima espressione nelle "opere "kitsch" degli anni successivi. Baj attacca il kitsch, che ritiene essere il solo "stile" che connota il mondo di oggi, sotto due aspetti. Da una parte alcune grandi composizioni combinatorie alludono alla crescita esponenziale della popolazione e raffigurano un'anonima folla che si riconosce solo nel kitsch generato dalla cultura del "prodotto industriale" fatto per sedurre le masse dei compratori. Dall'altra, quasi per creare una propria mitologia, il kitsch fa sue alcune immagini emblematiche delle passate mitologie: Amore e Psiche, Adamo ed Eva, la Bella e la Bestia, le Tre Grazie. E' con questi soggetti, realizzati in maiolica a Faenza nel 1991, che Baj torna alla ceramica, alla quale era già stato spinto da Jorn nel 1954 in occasione degli Incontri Internazionali della ceramica di Albissola. Nel 1993 inizia il ciclo delle Maschere tribali, immagini di un moderno "primitivismo" con cui la società opulenta vuole rifarsi un look istintuale e selvaggio riciclando, come simboli, gli oggetti del consumo quotidiano. Nella stessa linea si collocano i Feltri (1993-98) e i Totem (1997). Nei primi l'ovatta, materiale sempre usato da Baj a formare figure o a rivestire sagome, schiacciata e compressa, diviene il supporto del quadro, su cui l'artista dipinge con pastelli e/o colori acrilici: nella produzione più recente sono presenti anche pezzi di meccano e di mosaico. I totem, che costituiscono uno sviluppo verticale delle maschere, hanno nei titoli un ironico riferimento a personaggi della storia, come già in passato molte dame e personaggi decorati, dotati di roboanti, titoli aristocratici e militari. Tra le maschere e i totem si colloca Berluskaiser (1994), composizione di sagome alla maniera dell'Apocalisse, satira della conquista dell'allora presidente del Consiglio attraverso i media e la partita di calcio. E' del 1996 un Monumento a Bakunin, omaggio all'anarchia alle cui idee libertarie lartista 'si è sempre sentito vicino. Baj ha sempre avuto stretti rapporti con poeti o letterati italiani e stranieri. Ne fanno fede una cinquantina di libri d'artista con stampe e multipli originali, a partire dalle 36 acqueforti per il De rerum natura di Luerezio del 1952-53. Seguono collaborazioni ed edizioni con André Breton, Marcel Duchamp, Raymond Queneau, André Pieyre de Mandiargues, Jean Baudrillard, Octavio Paz, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Roberto Sanesi, Giudo Ballo, Italo Calvino, Paolo Volponi, Giovanni Giudici, Alda Merini e altri ancora. Tra i poeti del passato Baj ha illustrato, oltre a Lucrezio, Tacito, il Paradiso perduto di John Milton, la Caccia allo snark di Lewis Carroll, gli Epigrammi di Marziale, i Sonetti di Pico della Mirandola. Molte anche le collaborazioni di Baj con altri artisti, da cui è nato un considerevole numero di opere a quattro mani, da Fontana, Jorn, Colombo, Bertini, Manzoni negli anni Cinquanta - Sessanta, all'americano Mark Kostabi (1992) e ai francesi Régis Deparis e Richard e Hervé Di Rosa (1993). Baj ha sempre affiancato la scrittura alla pittura. Già dagli anni Cinquanta partecipa alla redazione di varie riviste d'avanguardia, tra cui "Il Gesto", "Direzioni", "Phases", "Documento Sud". In seguito collabora a quotidiani e riviste: il momento di maggiore attività in questo campo sono gli anni Ottanta. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui Autodamé (Cappelli, 1980), Patafisica (Bompiani, 1982), Automitobiografia (Rizzoli, 1983), Impariamo la pittura (Rizzoli, 1985), con Renato Guttuso Fantasia e realtà (Rizzoli, 1987), Cose, fatti, persone (Eleuthera, 1988), Ecologia dell'Arte (Rizzoli, 1990), Cosa dell'altro mondo (Eleuthera, 1990), Che cos'è la patafisica? (L'Affranchi, 1994), Scritti sull'arte: dal futurismo statico alla merda d'artista (A.A.A, 1996), Impariamo la pittura (Rizzoli, 1999); inoltre, con Luciano Caprile, Conversazioni con Enrico Baj (Eleuthera, 1997) con E. M. Arnico, eteronimo del figlio Angelo, Manuale di sopravvivenza: duecento voci per non capire (A.A.A, 1999), con Paul Virilio Discorso sull'orrore dell'arte (Eleuthera, 2002). Dopo i "feltri", presentati a Parigi nel gennaio 1999, il senso del tempo perduto e della "fin de siècle" porta Enrico Baj sulle tracce di Marcel Proust, rinsaldando ancora una volta i suoi forti legami con la letteratura. Ha inizio così una serie di 164 ritratti ispirati ai Guermantes, ai loro nomi altisonanti, agli intrighi dell'affare Dreyfus, a quel mondo raffinato, decadente e spesso grottesco. Nell'estate del 2000 lavora con Corneille alla realizzazione di una serie di quadri a quattro mani. Nel 2001 inizia un nuovo ciclo dedicato alle Storie di Gilgamès che si pongono come ulteriore apporto a quell'opera aperta che è l'Apocalisse. Nel 2002 realizza il ciclo "idraulica" esposta alla galleria Marconi catalogo con testi di Gillo Dorfles e Giovanni Raboni. Il 2003 inizia con questa piccola ma significativa mostra alla Banca di Romagna a Faenza, che si affianca a due grandi antologiche prima a Varese poi a Milano. A dicembre 2003 si terrà una mostra alla galleria Malborough di Monte Carlo che anticiperà di pochi mesi un'altra mostra nella sede di New York.