Tutto parte dallo stupore di un bambino che osserva mondi lontani con il telescopio: galassie, costellazioni, pianeti, satelliti, tanto distanti quanto vicini grazie a quel tubo puntato verso l’infinito. È la luce, allora come adesso, il filo conduttore di un percorso che dalle stelle porta prima alla fotografia per approdare poi alla pittura. E’ la comprensione della luce, nella sua potenza plastica e lirica, che consente a Bruno Bani di delineare forme e volumi, di indagare lo spazio, di far scaturire geometrie da coni d’ombra, di distribuire gli elementi. La luce diventa un trampolino per “scrutare” il mondo, uno strumento espressivo per uscire dai limiti della tela e confrontarsi con qualcosa di altrettanto impalpabile e invisibile: un’emozione. La distribuzione equilibrata di materia e luce all’interno di composizioni rigorose e al tempo stesso armoniche è uno degli elementi cardine con cui Bani crea i suoi universi. Abbandonando ogni finzione rappresentativa, si appropria di un linguaggio primario, costituito da forme di base, come il cerchio, il quadrato, il rombo. Una geometria essenziale, pura, fatta da relazioni semplici di linee, curve e diagonali, in dialogo con gli elementi fondanti della pittura: il supporto, il colore, il segno. Nella ricerca di Bani, sono questi tre fondamenti a caratterizzare nella loro elementarietà la costruzione delle opere. La geometria del supporto non è mai fine a se stessa, ma si accompagna sempre con la scelta di colori brillanti ed evocativi, spesso in una raffinata dialettica di bicromia. È una geometria “strutturale”, dove è la forma stessa delle tele e la loro lettura per piani a creare inediti effetti prospettici. La superficie si anima di una dinamica semplicità: mono o bicromie esaltano i colori vibranti stesi a campitura sulla tela, mentre la curva del filo di rame diventa una linea sinuosa tendente all’infinito. Questa semplicità apparente, costruita in maniera precisa e attenta, crea una speciale alchimia tra lo spazio circoscritto della tela, le forme che lo popolano e l’esterno, lo spazio circostante e la luce. Questo è percepibile fin dalle prime Moon, nate con l’intento di superare la bidimensionalità del supporto grazie alla sovrapposizione di una tela circolare a una quadrata. Amatissima dai surrealisti per le sue allusioni metafisiche e spirituali, la luna è stata nei secoli un soggetto particolarmente caro ai pittori. In queste opere la sua immagine è solo suggerita, una “silhouette” che ci viene restituita grazie al gioco compositivo e cromatico e dal curvilineo movimento del filo metallico che, attraversando le superfici, forma un contorno. L’uniformità del colore enfatizza la presenza di questa linea, elemento costante nella poetica dell’artista, che, modulato come nei Satelliti in una più marcata contrapposizione cromatica, apre l’opera a nuove prospettive di visione. La base geometrica che sostiene ogni composizione è il punto di partenza per lo sviluppo di diverse direttrici di ricerca. Opere seminali come Genesi, 40% o Senza titolo condensano già tutta la sua poetica: lo studio e la modularità delle forme, la sintesi compositiva, i rapporti spaziali, l’utilizzo strutturale delle linee (curve, diagonali, ortogonali), la scelta cromatica. Nella serie de Disseminazioni il modello geometrico compositivo viene amplificato con la creazione di polittici: da un lato ritroviamo la singolarità di ogni elemento base del linguaggio dell’artista, dall’altro è nell’accostamento delle tele e nella visione integrata dei piani sovrapposti che riusciamo a comprendere il risultato compositivo finale. Si intuisce quindi quanto lo spazio sia fondamentale per la poetica dell’opera e come la distribuzione di ogni elemento costitutivo della tela sia sempre attenta e calibrata in sintonia con la totalità. L’incontro con la luce ha naturalmente portato Bani allo sviluppo della serie Eclissi, dove la luce soffusa del led ci fa percepire una sensazione di atemporalità, una presenza-assenza carica di significato, ci rivela un “luogo” sospeso e rarefatto che si richiama all’immensità del cosmo, dimensione che l’uomo indaga senza veramente mai arrivare a conoscerlo. Queste opere aprono una nuova strada nel percorso dell’artista, legata all’impiego dello strumento luminoso come mezzo espressivo. Il rapporto tra composizione formale, spazio e tempo si consolida in un equilibrio armonico modellato dalla luce: l’opera diventa ancora più essenziale, sprigionando energia e forza lirica. La palette dell’artista è varia, così come percepiamo variegata la colorazione della superficie lunare: a volte ci appare sulle fredde tonalità del grigio, tendenti spesso al blu, altre volte è di un bianco quasi accecante o si rivela con inaspettate sfumature calde, dal giallo-arancio al rosso. Sono queste alcune delle intense tonalità utilizzate anche nei dipinti: il giallo, emblema di vitalità, il rosso, simbolo di energia, il colore non-colore nero, il blu, per gli Egizi “colore degli Dei”, sfondo di mappe stellari verso l’aldilà. Quest’ultimo, forse tra tutti il colore più misterioso, è quello che più si sposa con l’immensità del cosmo, con il pieno/vuoto di uno spazio evocato, racchiude un senso di attesa, di spiritualità, di distanze siderali, ci ricorda il mare, è il cielo.